Gli ebrei
tratto da “da Ar a Sir”
Il messaggio di Cristo, in ogni caso, influenzò profondamente il popolo ebreo, che non fu però uniforme nel condividerne il valore.
Questo perché, nonostante il cristianesimo fosse destinato a produrre un profondo cambiamento della cultura pagana, recava tuttavia un coefficiente di aristocrazismo ancora troppo elevato, e tale da rivelarsi in antitesi con il nucleo centrale della cultura ebraica: la cultura della società orizzontale!
Cristo infatti era stato sì opportunamente relegato nella metafisica in quanto Dio, ma aveva di fatto parlato e vissuto in quanto uomo in carne e ossa, ed era stato un vero capo, perdendo così quei requisiti di astrattezza indispensabili per poter negare il principio naturalistico.
Quella materializzazione del Dio nel Cristo uomo non avrebbe potuto insomma che innescare quel processo di riavvicinamento alla regola naturale che avrebbe poi spezzato quella volontà di uguaglianza a tutti i costi che, anche a costo di comprimere i diversi, gli ebrei avevano voluto.
Un fondato timore perché effettivamente il cristianesimo produsse, non il superamento dell’aristocrazia, ma la sua trasformazione in nobiltà, che per molti versi sarebbe stata peggiore.
Abbiamo visto infatti che l’aristocrazia era fondata su un modello ideologico in cui l’individuo, partendo dall’idea della sua personale partecipazione alla natura, intesa però come divina, cercava di interpretarne le superiori concezioni.
Abbiamo anche visto che quando la cultura ebraico\cristiana si liberò dai ferrei vincoli della realtà mediante l’espediente di relegare il Dio verso cui tendere in una dimensione aliena, gli uomini finirono per improntare sempre più il loro quotidiano e la loro vita a una serie di astratti ‘valori’ escogitati via via in base alla pressione delle esigenze.
‘Valori’ carichi di un’arbitrarietà ben maggiore di quella che caratterizzava le regole alle quali si ispirava la società aristocratica, e che produssero un crescente e sempre più sofisticato coefficiente di ipocrisia.
Cose dalle quali derivò che l’aristocrazia cessò di cercare di interpretare le superiori concezioni naturali e assunse pian piano come sua connotazione fondamentale la tendenza a eleggere a morale il mero sforzo di riempire di contenuti – generalmente opportunistici, prevaricatorii, strategici, di classe – la distanza dal Dio alieno, ovvero di apparire, più che di essere, gli esecutori delle sue del resto astratte regole, dando così luogo alla creazione di quella discrasia fra comportamento e professione dei valori che da sempre caratterizza pesantemente il monoteismo ebraico come quello cristiano, e una delle cui espressioni è il bigottismo.
Cose che furono interpretate in due diverse maniere che iniziarono a produrre il delinearsi della scissione fra cristianesimo ed ebraismo, perché gli ebrei rifiutarono quella concretizzazione di Dio in Cristo che avrebbe formalizzato l’introduzione, nell’egualitarismo a ogni costo da loro voluto, di quegli elementi di naturalismo meritocratico poi espressi dal cristianesimo attraverso la nobiltà.
In pratica, una parte della cultura ebraica, pur riconoscendo l’importanza di Cristo, negò però che potesse essere il figlio di Dio e Dio in persona lui stesso, e si limitò a considerarlo un profeta, disponendosi nel contempo all’attesa sine die del vero messia, che non sarebbe dovuto mai arrivare, e che infatti non è ancora arrivato, perché se arrivasse causerebbe, per i motivi di cui sopra, una crisi del tipo di egualitarismo voluto.
Naturalmente neanche questa fu una premessa adatta a dar luogo a una vera democrazia, perché la negazione integralistica della cultura aristocratica e dei suoi valori, fu possibile solo al prezzo di un coefficiente di ipocrisismo ancora maggiore di quello di cui avevano avuto bisogno i cristiani.
Tutte cose che comunque, nel mentre il cristianesimo, nei secoli, si espandeva sempre più, causarono un atteggiamento di sempre più forte recriminazione verso gli ebrei che, benché minoranza, sopravvissero riuscendo a salvare integralmente il loro importantissimo patrimonio culturale.
Un eccezionale merito molto aumentato dall’aver resistito alle persecuzioni che hanno purtroppo sempre continuato a subire, alle quali non poterono che reagire con una sempre maggiore introversione.
‘Esperimento’ di altissimo valore, quello ebraico, fondato sul difficilissimo tentativo di far crescere la massa in maniera omogenea, e che ha contribuito a prepararla all’avvento di un’era in cui dovrà riuscire a vivere in maniera ‘democratica’ i valori ‘aristocratici’: termini che scrivo tra virgolette per simbolizzare che il loro significato è ormai da ridefinire.
In ogni modo, nonostante il cristianesimo abbia sempre avuto una diffusione enormemente maggiore, l’ebraesimo, dato l’altissimo valore del concetto di democraticità su cui si basa, non fu da meno nell’influenzare l’occidentalesimo.
Cristiani ed ebrei pian piano si diffusero nel mondo e, stante la loro base comune, continuarono e continuano a essere due modi diversi di applicare una comune regola di vita importante, ma che presso entrambi – in quanto basata su delle astrazioni – non poté che essere fondata sui dogmi, ovvero sull’asserzione puramente impositiva del Dio e delle sue proprietà.
Un’impositività nel richiedere l’adesione ai dogmi per fede fatalmente degenerata nell’uso della scomunica e della recriminazione verso i dissidenti, ma anche della tortura e del rogo.
Quanto al fatto che Cristo fu strumentalizzato, da due diverse posizioni, sia dal nuovo ebraismo (cristianesimo), che da quello vecchio, è noto da sempre alle masse: in tutta l’iconografia di questi duemila anni, nonostante appartenesse anche lui a un popolo di bruni, viene raffigurato come biondo: biondo cioè come i soliti Achei, nei quali la diabolica mente collettiva ha giustamente collocato le sue origini ideologiche.
Le poche parole che gli si possono attribuire con certezza («chi è senza peccato scagli la prima pietra», e poche altre) dimostrano che aveva superato sia la cultura aristocratica che quella democratica trovando la chiave per conciliarle.
Nella frase «chi è senza peccato scagli la prima pietra» egli infatti:
1) non nega il principio meritocratico, perché afferma che chi fosse senza peccato avrebbe lo speciale diritto di colpire, e dunque di dominare;
2) rende quel diritto impraticabile, richiedendo per poterlo acquisire una qualità che può essere solo vantata;
3) nel momento in cui afferma il principio meritocratico – ma ne limita aprioristicamente la praticabilità circoscrivendolo implicitamente alla possibilità di avere sì maggiori diritti, ma solo in presenza di maggiori meriti esattamente verificati e verificabili – legittima di fatto la fallibilità degli uomini e dunque, da un lato, ridimensiona il ‘superiorismo’ degli aristocratici, e, dall’altro, afferma sia il diritto democratico a non subire la prevaricazione nonostante i limiti, e sia l’onere di dover riconoscere i meriti quando vi siano e siano quantificati;
4) affermato questo schema di valori, causa in definitiva un nuovo rapporto di forza sociale in cui forti e deboli si diano atto reciprocamente delle loro esigenze, dei loro limiti e della pretestuosità dei loro contrapposti apriorismi, e vadano alla ricerca di una misura morale da individuarsi ogni volta attraverso lo strumento dell’onestà intesa però come necessità e non come valore.
Gli uomini, invece, cristiani o ebrei che fossero, lasciarono che continuasse a vigere l’onestà solo come ‘valore’ funzionale al ‘regno dei cieli’, e dunque una morale astratta e tendenziosa, come tendenziosi continuavano a essere i loro intendimenti.
Quanto alle concezioni politico-filosofiche di Cristo, quello che non aveva probabilmente considerato, o che forse aveva considerato, ma senza potervi trovare rimedio, era che gli uomini non avrebbero mai accettato una cultura fondata sull’onestà reale fino a quando non fossero stati in grado di costringervisi l’un l’altro, e comunque fin quando non si fosse giunti a un livello di benessere di massa tale che accanirsi nella disonestà fosse divenuto meno vantaggioso e più faticoso che cogliere con poco sforzo i frutti dell’onestà.
In ogni modo sia vecchi che nuovi ebrei avrebbero poi per altri versi dimostrato di avere avuto tutto sommato entrambi buone ragioni sia nel negare, gli uni, la natura divina di Cristo, e sia, nel mediare, gli altri, il suo messaggio con il loro precedente patrimonio.
Quella massa, cioè, non era ancora matura per fare quello che Cristo avrebbe voluto né, data l’arretratezza di quella società, quella maturazione sarebbe stata possibile fin quando, una ventina di secoli dopo, non fosse sopravvenuta la società dei media, capace di irradiare la conoscenza, in un solo istante, in tutto il mondo, sia pure con tutti i ben noti limiti.
E fino a che punto avessero ragione lo si può desumere dal fatto che, nei venti secoli successivi, nessuna civiltà aristocratica, comprese quelle stupende degli orientali, sarebbe mai riuscita a diventare di massa (ma sarebbe stata una contraddizione già in termini) senza l’aiuto dell’influsso della cultura ebraica ed ebraico/cristiana.
Quanto al fatto che, nel mentre, gli ebrei avrebbero dovuto accettare di essere additati al disprezzo degli aristocratici, non c’era niente altro da fare che sopportare.
Solo dopo duemila anni sarebbe stato possibile capire com’era stato difficile fare in modo che tutti diventassero partecipi di quei valori che la cultura aristocratica avrebbe invece voluto fossero patrimonio di una sola classe, e quanta sofferenza ciò era costato da quando, coperti di stracci, litigiosi, scarmigliati e affamati, gli ebrei erano fuggiti attraverso le acque del mar Rosso, ovviamente mai separatesi per far passare quel pugno di irriducibili che – magari mediante gli stratagemmi più subdoli, e a rischio che in una certa fase gli uomini credessero di essere divenuti una massa di punte – sarebbero però riusciti a dare forma e contenuti al desiderio di ognuno di liberarsi quantomeno dalla paura e dalla sofferenza per le forme di prevaricazione più grave.